Venceslao, Cracovia, Matyaszkiewicz, 1725

 ATTO QUARTO
 
 Prigione corrispondente al palazzo reale.
 
 SCENA PRIMA
 
 CASIMIRO solo incatenato
 
 CASIMIRO
 Ove siete? Che fate,
 spirti di Casimiro? Io di re figlio,
 io di più regni erede,
930io tra’ marmi ristretto? Io ceppi al piede?
 Amor, sì sì, tu solo
 se’ mia gran colpa. O di Erenice, o troppo
 bellezze a me fatali, io vi detesto.
 Son misero, son reo, son fratricida,
935perché vi amai. Sono spergiuro ancora,
 spergiuro ed empio a chi fedel mi adora.
 
 SCENA II
 
 GISMONDO, LUCINDA e CASIMIRO
 
 GISMONDO
 Lucinda a te sen viene.
 CASIMIRO
 (Lucinda a me? Per qual destino, o dei).
 LUCINDA
 (Secondi amor propizio i voti miei).
 CASIMIRO
940Regina, (dir non oso
 Lucinda, sposa, nomi
 in bocca sì crudel troppo soavi)
 leggo su la tua fronte
 la sorte mia. Tu vieni
945nunzia della mia morte e spettatrice.
 Di buon cor la ricevo;
 ma la ricevo in pena
 di averti iniquo, o mia fedel, tradita,
 se pur la ria sentenza
950sul labbro tuo morte non è ma vita.
 GISMONDO
 Desta pietà.
 LUCINDA
                         (Caro dolor!) Custodi,
 al piè di Casimiro
 tolgansi le ritorte.
 GISMONDO
 Lo impone il re.
 CASIMIRO
                                Che cangiamento è questo?
 LUCINDA
955Da me la morte attendi?
 Da me, crudel?
 CASIMIRO
                               Da te che offesi.
 LUCINDA
                                                              Ingrato.
 CASIMIRO
 Ben ne ho dolor; ma indegno
 di tua pietade io sono
 ed or, bella, a’ tuoi piedi
960chiedo la pena mia, non il perdono.
 LUCINDA
 Casimiro, altra pena
 non chiedo a te che l’amor tuo. Del primo
 tuo pianto io son contenta.
 Godo di perdonarti
965e la vendetta mia sia l’abbracciarti.
 GISMONDO
 Prenci, non più dimore. Il re vi attende.
 CASIMIRO
 A che?
 LUCINDA
                Dal reggio labbro
 l’alto destin ne intenderai.
 CASIMIRO
                                                   Già scordo
 vicino a te, mio bene, i mali miei.
 LUCINDA
970Io ti ottenni il perdon. Temer non dei.
 GISMONDO
 Or vi precedo.
 LUCINDA
                             Andiamo. O gioia!
 CASIMIRO
                                                                 O sorte!
 A DUE
 Né sciolga un sì bel laccio altri che morte.
 
 Sala.
 
 SCENA III
 
 ERNANDO, ERENICE
 
 ERNANDO
 Principessa, a te viene
 un amico, un amante
975ad unir le sue pene al tuo dolore.
 ERENICE
 Di vendetta si parli e non d’amore.
 ERNANDO
 Vendetta, sì, vendetta
 anch’io voglio, anch’io giuro.
 ERENICE
 Quanto mi piace l’odio tuo!
 ERNANDO
                                                    Lo irrita
980amor nel tuo dolore.
 ERENICE
 E pur ritorni a ragionar di amore.
 ERNANDO
 Amor che non offende
 né la tua fé né l’amistà di Ernando
 non può irritarti. I mali tuoi nol fanno
985più ardito e baldanzoso. Egli è ben forte
 ma disperato.
 ERENICE
                             E s’egli è tal, l’accetto.
 Disperato è anche il mio.
 ERNANDO
                                                Tale il prometto.
 ERENICE
 Ti ricevo or compagno
 nel mio furore.
 ERNANDO
                               Andiamo. Io più di un seno
990ti additerò dove infierire.
 ERENICE
                                                 Andiamo.
 Ma tua sola mercede
 fia ch’Erenice a l’amor tuo dà fede.
 ERNANDO
 
    Sarà gloria a la costanza
 il dover senza mercede,
995idol mio, per te languir.
 
    Toglie il merito a la fede
 la speranza del gioir.
 
 SCENA IV
 
 VENCESLAO con guardie, poi GISMONDO
 
 VENCESLAO
 Nozze più strane e meno attese e quando,
 Polonia, udisti? Onor le chiede. Impegno
1000le stringe e questa reggia
 ne serve a l’apparato e le festeggia.
 Ma...
 GISMONDO
             Si avanza a’ tuoi cenni
 la regal coppia.
 VENCESLAO
                               Venga.
 Tu ciò che imposi ad affretar t’invia.
1005Al principio de l’opra
 ben corrisponda il fin.
 GISMONDO
                                           Strane vicende,
 vi figura il pensiero e non v’intende.
 
 SCENA V
 
 CASIMIRO, LUCINDA e VENCESLAO
 
 CASIMIRO
 De’ più illustri sponsali
 questa è la reggia.
 LUCINDA
                                    E qui ti attende il padre.
 VENCESLAO
1010Figlio, in onta a tue colpe
 son padre ancora. Alor che morte attendi,
 agl’imenei t’invito e ti presento
 in Lucinda una sposa.
 Tutt’altro oggi attendevi,
1015fuorché un tal dono. Abbilo a grado. Il chiede
 tuo dover, mio comando e più sua fede.
 LUCINDA
 (Che mai dirà?)
 CASIMIRO
                                 Deh come
 è possibile, o padre,
 che sì tosto si cangi
1020la sorte mia? Dovea morire...
 VENCESLAO
                                                       Eh lascia
 la memoria funesta.
 Pensa or solo a goder. Tua sposa è questa.
 CASIMIRO
 Caro più de la vita
 m’è ’l dono tuo. Lo accetto,
1025non perché tu ma perché amor lo impone
 e a la bella Lucinda
 non mi sposa il timor ma la ragione.
 LUCINDA
 E di gioia non moro?
 VENCESLAO
                                         Or questa gemma (Dà un anello a Casimiro che poi con esso sposa Lucinda)
 confermi a lei la marital tua fede.
 CASIMIRO
1030Ma più di questa gemma
 te la confermi il core.
 LUCINDA
 Mio tesoro.
 CASIMIRO
                        Mio ben.
 A DUE
                                           Mio dolce amore.
 VENCESLAO
 Sposi, sì casti amplessi
 lasciar si denno in libertà.
 CASIMIRO
                                                  Due volte
1035mi fosti padre.
 LUCINDA
                              E vita
 ti deggio anch’io.
 VENCESLAO
                                  Regina,
 a l’onor tuo si è soddisfatto?
 LUCINDA
                                                     Appieno.
 VENCESLAO
 Se’ paga?
 LUCINDA
                     In Casimiro
 tutta lieta è quest’alma e più non chiede.
 VENCESLAO
1040Egli è tuo sposo ed io serbai la fede.
 LUCINDA
 La fé serbasti.
 VENCESLAO
                             Addio. Null’altro, o sposi,
 qui far mi resta, or che la fé serbai.
 Ma Casimiro...
 CASIMIRO
                              Padre.
 VENCESLAO
 Deggio altrui pur serbarla. Oggi morrai.
 
 SCENA VI
 
 LUCINDA, CASIMIRO
 
 LUCINDA
1045Oggi morrai? Dirlo ha potuto un padre?
 Lucinda udirlo? Oggi morrai? Spietato
 giudice, iniquo re, così mi serbi
 la fé per più tradirmi?
 Mi dai lo sposo e mel ritogli? O tutto
1050ripigliati il tuo dono o tutto il rendi.
 Se mi se’ più crudel, meno mi offendi.
 E tu che fai? Che non ti scuoti? Il cenno
 udisti di un tiranno e non di un padre.
 Carnefice vuol torti
1055la vita che ti diede e romper tutti
 gli ordini di giustizia e di natura.
 Né ti risenti? E soffri
 attonito la tua, la mia sciagura?
 CASIMIRO
 Lucinda, anima mia,
1060che far? Che dir poss’io? Veggo i miei mali
 e so di meritarli.
 Penso al tuo duolo e ti compiango. O sposa,
 misera sposa! giunta
 a vederti tradire,
1065a vedermi morire.
 LUCINDA
 Morir? Me forse credi
 sì vil, sì poco amante
 che sofferire il possa?
 Meco ho guerrieri, ho meco ardire, ho meco
1070amor, sangue, ragione.
 Eccitterò ne’ popoli lo sdegno;
 empierò d’ire il regno,
 di tumulto la reggia,
 tratterò ferro e foco.
 
1075   E se teco io non vivrò,
 teco, sposo, io morirò.
 
 CASIMIRO
 Un soccorso rifiuto
 ch’esser può mio delitto e tuo periglio.
 Il re mi è padre, io son vassalo e figlio.
 LUCINDA
1080Crudel, se’ sposo ancora.
 Serbi il nome di figlio a chi ti uccide;
 nieghi il nome di sposo a chi ti adora.
 CASIMIRO
 Anzi questo è sol nome
 che più mi è caro; io meco
1085porterollo agli Elisi, ombra costante;
 e là dirò: «Son di Lucinda amante».
 LUCINDA
 Va’ pur; ti è cara, il veggio,
 la morte tua. Vanne, l’incontra, a l’empio
 carnefice fa’ core e ’l colpo affretta.
1090Ma sappi, io pur morrò, mi avrai ben tosto
 dal ferro uccisa o dal dolor. Tu piangi?
 Tu impallidisci? Il mio morir tu temi?
 Né temi il tuo? Che pietà è questa? Priva
 mi vuoi d’alma e di core e vuoi ch’io viva?
 CASIMIRO
1095Sì, vivi. Il dono è questo
 che ti chiedo in morendo. Addio, mia sposa,
 degna di miglior sorte
 e di sposo miglior.
 LUCINDA
                                     Tu parti?
 CASIMIRO
                                                         Addio.
 Tolerar più non posso
1100la pietà di quel pianto. Andrò men forte,
 se più ti miro, andrò, mia cara, a morte.
 
    Parto; non ho costanza
 per rimirarti a piangere.
 Sposa, ti abbraccio. Addio.
 
1105   Se più rimango, io moro.
 Ma non saria morir
 sugli occhi di chi adoro
 il morir mio.
 
 SCENA VII
 
 LUCINDA
 
 LUCINDA
 Correte a rivi, a fiumi, amare lagrime.
1110Tolto da me lo sposo
 ha l’ultimo congedo.
 Più non lo rivedrò. Barbaro padre!
 Miserabile sposo! Ingiusti numi!
 Su, lagrime, correte a rivi, a fiumi.
1115Ma che giova qui il pianto? A l’armi, a l’armi.
 Giacché tutto disperi,
 tutto ardisci, o Lucinda. Apriti a forza
 ne la reggia l’ingresso. Ecco già parmi
 di svenare il tiranno,
1120di dar morte a’ custodi,
 di dar vita al mio sposo e di abbracciarlo
 fuori de’ ceppi... Ahi, dove son? Che parlo?
 
    Vaneggia la spene,
 delira l’affetto
1125e intanto il mio bene
 a morte sen va.
 
    Lo salvo pietosa,
 lo abbraccio amorosa
 e ancora ristretto
1130fra’ ceppi egli sta.
 
 Fine dell’atto quarto